Ciò che Chiara Cappelletti realizza nelle sue tele, in cui figure femminili e vegetali si corrispondono in uno scambio di armoniose affinità elettive, non si tratta di metamorfosi né di interpolazioni o di trasmigrazioni pittoriche tra due diversi mondi. La Natura, infatti, è unica e partecipa di entrambe. E’ di fatto illusorio credere che alberi e piante appartengano ad un ambito biologico diverso da quello umano, e che i loro “comportamenti” siano dissimili da quelli animali, genere umano incluso, come ben spiega nei suoi libri il botanico Stefano Mancuso. A somiglianza di quella degli uomini, la vita sociale delle piante non si limita al proprio regno, quello vegetale, ma travalica - molto più spesso di quello che si possa supporre - in quello animale che comprende, appunto, noi uomini. Chiara mette in luce, non scientificamente ma per la via della bellezza, questa relazione e interazione intensa che si fa ancora più forte perché tratta specificamente di un’umanità femminile. Un dominio, quello delle donne, in cui la pregnanza affettiva e sentimentale è, in genere, maggiormente in grado di palesare e svelare senza eccessive remore o riserve, il proprio universo interiore. La connessione che si innesca tra questi due mondi, nello sfiorarsi ed accarezzarsi, nel chiedere e cercare risorse l’uno dall’altro, rende più potente il loro reciproco protendersi verso una comprensione profonda e spesso salvifica, vitalistica e guaritrice. Le scelte formali più idonee alla definizione di questo legame, la Pittrice le individua in una nitidezza precisa e incredibilmente attenta ai dettagli, tutti strutturalmente organici al pensiero che vi è sotteso: la solidarietà strettissima con la natura che però è anche segno e simbolo di una profonda identificazione con il proprio genere e con le connessioni di solidarietà e di sorellanza che ne sono il portato. Dunque questa oggettività lucida non è esercizio di stile o virtuosismo tecnico, ma una necessità semantica che viene dal profondo.
CHIARA CAPPELLETTI
dipinti acrilici
Sia o no il retaggio della sua attività di grafica, iniziata nel 1987, dunque come disegnatrice sopraffina e abituata a giocare con le molteplici possibilità semantiche dell’immagine, Chiara Cappelletti realizza oggi, come pittrice a tempo pieno, dipinti di una straordinaria ricchezza di dettagli nei quali profonde il suo talento di raccoglitrice di realtà irreali (post-reali, super-reali). Un ossimoro che in pittura ha però un suo preciso e privilegiato spazio. In quest’ambito, infatti, l’artista-poeta (“poiéin” in greco descriveva il gesto divino del Demiurgo capace di creare dal nulla tutte le cose. E nel modo in cui le vuole Lui, ovviamente) opera con acrilici su tela nel campo vastissimo delle pressoché infinite possibilità dell’essere.
Val forse la pena di soffermarsi brevemente sul valore puramente semanti-
co della parola “poesia” per capire meglio il linguaggio di quest’artista che per mezzo di una delle prime e più antiche forme espressive, cioè il copiare dalla natura il più fedelmente possibile, riesce a produrre il risultato inverso: rappresentare cioè “naturalisticamente” ciò che nella realtà solitamente non si pone. Dunque, il termine “poesia” (poiésis) che come si è detto deriva dal verbo greco poiéin, col significato di “inventare, comporre, produrre, fare, generare”, descrive un atto generativo e significa sostanzialmente far diventare in “essere” qualcosa che “non è”. Ma all’atto poetico dell’artista è implicito l’uso fisico delle mani – così come il dio biblico Jahvè che forgia Adamo impastando, “com-ponendo” insieme terra e acqua e soffiandoci poi dentro la vita. L’azione poetica è dunque anche questo: mettere insieme fisicamente (com-porre) elementi fisici con altri astratti e simbolici, facendo uso contemporaneamente delle mani e del pensiero. Nello stesso modo Chiara Cappelletti connette in una stessa forma o figura l’universo reale e concreto, fatto di persone (esclusivamen-
te di genere femminile), animali, elementi naturali e ambienti umani, interni ed esterni, con aspetti fantastici, filosofici e non, comunque non-reali o verosimili. La varietà degli oggetti e delle situazioni dei suoi dipinti è molteplice e tende all’infinito, così come il mondo naturale propone un numero imprecisabile di fenomeni. Ma nella “naturalità” espressiva della pittrice s’inserisce sempre l’elemento destabilizzante: il suo pensiero, la sua fantasia, le sue esperienze, le distopie che lei registra all’interno dell’universo reale ma sotterranee ad esso, quasi sempre invisibili. La loro rappresentazione costringe anche chi guarda a vedere e dunque a prendere in considerazione la possibilità che la “natura” abbia in sé una compo-nente endogena che ne devia il corso.
Giovanna Grossato
Foto Diego Cuccarollo